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La distinzione tra i due concetti di bello e sublime è molto semplice: il bello è dato dalla completezza formale e dall’armonia delle parti, mentre il sublime è dato dalla capacità di sconvolgere l’animo di chi osserva il fenomeno.

Diversi filosofi trattarono il tema del sublime tra cui Kant e Longino, che scrisse il trattato Del Sublime nel I secolo a.C., ed anche il bello ebbe i suoi estimatori e studiosi che arrivarono a pensare che il bello non sia soggettivo.

In uno studio pubblicato pochi mesi fa su “Frontiers in human neuroscience” i neuroscienziati Tomohiro Ishizu e Semir Zeki dell’University College of London hanno cercato un riscontro a livello neurobiologico della distinzione dei due concetti.

Alcuni volontari hanno dovuto osservare l’esperienza del sublime in 175 immagini tratte dal “National Geographic Magazine”, in particolare dovettero guardare monti, cascate, vulcani, tornado, onde oceaniche, deserti. Utilizzando la risonanza magnetica i due studiosi hanno determinato l’attività cerebrale associata all’esperienza del sublime. Infatti l’osservazione di questi fenomeni attiva aree cerebrali quali i gangli della base, l’ippocampo e il cervelletto mentre non coinvolge l’amigdala e l’insula, aree associate alla percezione degli stimoli emotivi. L’osservazione del bello attiva invece le strutture nervose come la corteccia orbitofrontale. I due studiosi hanno dunque dimostrato che il bello e il sublime sono costruiti su meccanismi neurali totalmente distinti e differenti.

Tale scoperta contribuisce con basi scientifiche al dibattito filosofico ed inoltre può aiutare anche gli artisti, gli architetti, i letterati e gli scrittori a conoscere a priori quali sensazioni susciteranno le loro opere.

Immagine: parados.it