Partendo dal presupposto che il linguaggio sia una nomenclatura, non possiamo astenerci dall’affermare che ogni lingua ha la sua estetica, si tratti di grafemi o di fonemi, e certamente ci sono parole “brutte” e “sbagliate”. Il riferimento non va affatto alle cosiddette “parolacce”, quelle parole cariche di significati negativi e di ideologie che magari, all’atto della loro nascita, neanche esistevano. Intendiamo riferirci ad una sperimentazione eccessiva, un sopruso vero e proprio della parola, che il nostro secolo idolatra quanto l’originalità spicciola.

Il mondo della moda è indubbiamente uno dei fulcri più “in” per la creazione di nuovi lessemi. Essendo un mondo veramente globale, è inevitabile l’uso di prestiti e calchi da altre lingue. L’egemonia è indubbiamente inglese, ma non mancano francesismi maccheronici e altri orrori facilmente evitabili con qualche accorgimento.

Ecco che MIME vi fornisce una breve guida prêt-à-porter per essere in-comprensibili, alla moda e corretti allo stesso tempo.

Fashion è un sostantivo, non un aggettivo. Quindi lo stile del vostro divo/a di turno ( anche se “star” suona meglio) è fashionaBLE o trendy. Ma se volete usare questo termine per fare i moderni, siate coscienti del fatto che è sbarcato in Italia assieme a “dandy” a metà dell’Ottocento.

Quando andate a fare shopping, termine attestato invece agli inizi del Novecento, potete sbizzarrirvi e strabiliare i vostri amici con neologismi idiosincratici come: glamazons, che può indicare una persona che pensa solo alla moda, una modella o una persona il cui stile veramente ammirate, ma anche un “incrocio fra un giocatore di football americano ed Oprah” come recita Urban Dictionary.

Attenti a comprare un vestito che vi renda troppo bodacious, o finisce che il vostro sex appeal sconvolgerà più della vostra proprietà di linguaggio

Beauty-case e trendsetter sono pseudoanglicismi, anglicismi apparenti, creati in modo più o meno corretto in italiano utilizzando analogicamente strutture formative dell’inglese, note dai prestiti o dalla lingua. Quindi diciamo che, se volete fare i british della situazione, meglio evitare. Al posto di beauty-case si può usare il francesismo nécessaire che, oltre ad essere corretto, è più chic. Il tessuto a coste a rilievo, chiamato canneté, nel vocabolario francese in realtà non esiste. Altri pseudo-gallicismi sono: chiffon, décolleté che in francese indica solo la scollatura che è ben lungi da un modello di scarpe, ed écru che vuol dire grezzo e non grigio scuro.

L’esterofilia colpisce i fashionisti più di un trend stagionale, ma sarebbe meglio non superare le due parole straniere ogni due frasi, soprattutto se non si conoscono abbastanza le lingue. Gli influssi linguistici sono cambiati nel corso degli anni, ecco perché prima si diceva “reclame”, con una timida “e” aggiunta al francese mentre attualmente la pubblicità segue il modello inglese. Probabilmente fra qualche anno useremo la parola russa rubaska per indicare una camicia, visto che il termine paltò per cappotto invernale è ormai un must dei poser linguisti.

Se non altro, per coloro che non si destreggiano bene in questo mondo di strani suoni, ricordiamo che non tutto è perduto e niente panico! perchè scrivere style al posto di stile basta ancora per sembrare cool e la moda è un linguaggio istantaneo che non ha bisogno di troppe parole.

Immagine: Meetville,com