Quando abbiamo di fronte un monumento antico o una statua, la prima sensazione è quasi sempre quella di meraviglia e stupore, si ammira il bello e si pensa alla perfezione delle linee o alla morbidezza delle forme. Se ciò che si osserva poi ha una rispettabilità artistica e una sacralità spirituale come le statue del Partenone, due minuti di riflessione sono consentiti.

Non è la prima volta che l’antico si presta al marketing, forse nella maniera più politicamente scorretta, ovvero quella di stravolgere completamente il messaggio dell’artista per lanciare nuovi messaggi ideologici o politici. A creare scalpore sono stati mesi fa i Bronzi di Riace conciati come due trans dall’artista Gerald Bruncan, che li ha vestiti con un tanga leopardato e un boa di piume. Ora sotto i riflettori vanno niente meno che le celebri statue di uno dei monumenti simbolo dell’Europa e del mondo, il Partenone, che ha visto le proprie opere d’arte diventare simbolo di una campagna pubblicitaria lanciata dal noto brand di moda Gucci.

Sull’account ufficiale Instagram della maison, sono state recentemente pubblicate delle animazioni create dalla digital artist Derya Ayhan Cakirsoy che ha “vestito” i marmi con gli accessori della linea Gucci Blooms e Gucci Caleido. Il progetto oltre al fine commerciale, lancia una campagna sui social dove si invitano gli artisti emergenti a immaginare le opere d’arte rivestite di abiti e borse del brand Gucci.

Le polemiche si sono accesse immediatamente, a scendere in campo contro la maison il Club UNESCO del Pireo, un’organizzazione no profit e non governativa che mira a promuovere la consapevolezza interculturale, la comprensione, la cooperazione e la solidarietà secondo i principi e gli ideali dell’Unesco. Il Club del Pireo definisce umiliante questa trovata pubblicitaria, che offende profondamente lo spirito artistico che per secoli ha ispirato il genio creativo dei più grandi artisti che hanno trovato ispirazione guardando la perfezione delle sculture del Partenone.

Vedere Dioniso che assiste al parto di Atena indossando un pantaloncino colorato, con in mano una borsa femminile, un fiore sull’orecchio mentre scatta un selfie; Cecrope vestito da hippie e Ilissos che indossa accessori da signora, Calliroe, seduta accanto, che tiene in mano il suo iphone mentre guarda Atena e Poseidone disputarsi il predominio sulla città di Atene ha un qualcosa di assolutamente immorale.

L’esposizione di Gucci tocca scene sacre posizionate sui frontoni est e ovest del Partenone che immortalano la nascita prodigiosa della dea Atena dal cervello del padre Zeus e la contesa di questa con il nemico Poseidone per il predominio sulla città più importante dell’Attica. Ma un’altra bacchettata arriva dalla violazione dei diritti per l’uso delle immagini con finalità di marketing , da parte di Gucci, che non ha chiesto l’autorizzazione al Museo dell’Acropoli che detiene i diritti.

L’atteggiamento dei greci deve far riflettere anche su un’altra questione, che non trova pace, ovvero il rientro dei marmi dal British Museum in Grecia che vede schierati Inghilterra e Grecia su un fronte legale che non vede nessuna risoluzione se non il “furto” inglese di materiale che non gli apparterebbe. Le domande che mi sorgono leggendo la polemica sono queste: Se Gucci avesse usato la sua influenza per una campagna non di marketing ma ideologica  per la legittima restituzione del patrimonio greco al suo paese, questo non avrebbe suscitato più approvazione e meno indignazione da parte del mondo culturale? È stata ancora una volta violata la sacralità dell’arte solo per far vendere di più un brand? Gucci aveva proprio bisogno di questo?

Credits: instagram.com/gucci